Il Making of de "Il Luparo" - Parte II

di Stefano Di Marino

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    Il Making of de "Il Luparo" - Parte II

    di Stefano Di Marino

    Parte seconda: L’Indocina

    Il Sudest asiatico

    Scenario della fase più movimentata e avventurosa del Luparo è un altro dei luoghi mitici della mia mente: il Sudest asiatico che comprende l’ex Indocina francese (che, dal 1858, comprendeva tutto il Vietnam, il Laos e la Cambogia), la Birmania (oggi Myanmar) sottoposta sino alla Seconda guerra mondiale al dominio inglese e la Thailandia, la “terra degli uomini liberi”, paese virtualmente indipendente ma sottoposto all’influenza britannica e mantenuto come stato indipendente per fare da “cuscinetto” tra le due potenze coloniali. In questo scenario che offre paesaggi splendidi, spiagge candide, arcipelaghi con rocce dalle curiose forme a fungo, Buddha Theravanda che spuntano nella foresta come simulacri di una religione antica e dimenticata, pagode dorate, estensioni di montagne umide e inaccessibili vaste quanto l’Inghilterra si è sviluppata per me una mitologia della quale è difficile tracciare esattamente i confini. Dal romanzo Morte di Frodo di Pierre Boulle, a film Apocalypse Now di Coppola, passando per il già citato Il Clan dei Corsi e un paio di romanzi di Eric Lustbader (Shan, Il Bacio che uccide) avevo già sviluppato all’epoca della stesura del primo racconto- Giungla Mortale- un universo immaginario legato a quei luoghi che avevo alimentato con un viaggio d’approccio nel 1985.
    Da quei tempi sono trascorsi molti anni e in Indocina sono tornato molte volte. A studiare la Muay Thai Kickboxing nei campi di addestramento di Sittiyottong e Pukhet negli anni 80, come turista nel ’95, nel ’96 e poi per una lunga escursione nel 2001 tra Vietnam, Laos e Cambogia. A tutto questo si è aggiunta la scoperta del cinema avventuroso e poliziesco thailandese che, per troppo tempo, è rimasto all’ombra di quello di Hong Kong e oggi sta lentamente facendo capolino nelle sale europee (francesi se non italiane…). Il Luparo nella sua nuova versione conserva un poco di tutte queste esperienze mescolate alla mia fantasia.


    Dangerous Bangkok

    Il primo impatto con Krung Thep, la Città degli Angeli, Bangkok arriva attraverso l’olfatto e ti colpisce duramente. Un misto di smog, di vegetazione galleggiante marcia, di rifiuti, di cibo cotto per la strada e fortemente speziato, di citronella, legno di sandalo, profumi e urina. È un sentore inconfondibile che si respira in molte altre città asiatiche ma che a Bangkok è particolarmente potente e lascia il segno. Riservando alle guide turistiche i giri più tradizionali tra canali rurali, templi con i tetti d’oro e vecchie ville coloniali, ciò che colpisce sin dall’arrivo all’aeroporto Don Muang è l’aspetto confuso, spesso contraddittorio, un po’sordido e misterioso della città, scenario ideale per storie criminali. Questo non ha nulla a che fare con il carattere dei thailandesi che è aperto e sorridente. Per loro tutto è Sanuk o Ma Sanuk, buono e meno buono e, quando le cose vanno male l’espressione più comune è ma pei rai, “fa niente, passerà…” Di fatto ho sempre trovato i thailandesi più simili a noi italiani nello spirito cordiale ma pronto a mostrare la grinta quando è necessario. Una guida nel mio viaggio verso il Triangolo d’Oro, la regione che è stata per anni il centro del traffico di eroina, mi raccontava di aver prestato servizio militare durante gli anni ’80 quando una recrudescenza della guerriglia dei Khmer rossi aveva messo a ferro e fuoco le colline al confine con la Cambogia. “Ho dovuto fare cose terribili e altre ne ho viste di ancora peggiori. Se non avessi conservato il mio Sanuk, sarei impazzito. Ero sergente e ho capito che era questa la cosa che dovevo trasmettere ai miei uomini: la capacità di mantenersi impermeabili all’orrore. Altrimenti non sarebbero tornati a casa. Io sono un buon buddista e rispetto la vita, ma quando si combatte conta la sopravvivenza. E noi tornammo a casa tutti.” È questo spirito, diverso e a volte difficilmente comprensibile dagli occidentali, che ci permette di comprendere molte contraddizioni del Sudest asiatico e della Thailandia che, almeno per me e per la mia storia, ne è il fulcro. Se poi, al calare del sole, osserviamo la cappa di smog che ammanta la città, i viadotti in cemento armato percorsi da frotte di tuk-tuk ( una specie di Ape-taxi), di motorette, di camioncini che vomitano gas mefitici e ignorano assolutamente ogni regola di circolazione, lo scenario diventa ancor più adatto a creare vicende “nere” e criminali. Le luci del quartiere del vizio si accendono, negli stadi ufficiali e clandestini si scommette e si combatte (uomini, galli, topi, mantidi, non ha importanza), le ragazze sorridono ammiccanti e si può bere sangue di serpente. Lo scenario dei primi capitoli della Spiaggia di Garland che comincia benissimo (come il film con Di Caprio e Carlye) e poi si trasforma in una farsa. La mia esperienza con la Bangkok criminale si è costruita negli anni, attraverso viaggi e ricerche successive. Ci sono storie che meritano di essere raccontate. Un consiglio, non sfidate mai un thailandese sul suo terreno come fece un mio amico napoletano al ristorante. Qui di solito al farang (lo straniero) viene sempre chiesto se desidera il cibo “pik”(piccante), “pik-pik”(molto piccante) oppure se gradisce la versione “ma-pik”, senza spezie. Il mio amico, forte delle sue abitudini partenopee, chiese orgogliosamente un piatto di gamberi pik-pik… Vi assicuro che il piatto che gli fu servito con il classico sorriso thai fu micidiale e lo lasciò… sulla tazza, come si dice, per una settimana. I thai sono fatti così. Se vi vedono con la mappa della città fermi a un angolo di strada vi indicheranno volontariamente la strada, salvo, sempre con il sorriso, mostrarvi depliant in carta patinata di saune, massaggi elencando prezzi e servizi della sorella, l’amica e quant’altro sino ad asfissiarvi. Ridete sempre e ringraziate. Una volta fu persino un poliziotto a mostrarmi il suo campionario di parenti ben disposte. Di fronte a un mio cortese rifiuto si accontentò di una birra, mi indicò la strada e mi lasciò il suo biglietto. Nel caso per la sera mi sentissi solo…
    Gente simpatica, i thai, ma non costringeteli a combattere. Anni fa un gruppo di marzialissimi kickboxer giapponesi vennero a sfidarli nel pugilato siamese dove è praticamente permesso tutto. Ricevettero una batosta micidiale e in più gli sfottò degli avversari che fingevano palesemente di essere intimoriti dalle loro grinte e poi, sempre con il sorriso sulle labbra, sparavano colpi che parevano bordate di mitraglia…

    Le ragazze di Patpong

    Durante la guerra del Vietnam, quando Bangkok era il principale centro di R&R(Riposo & Ricreazione) per i GI in licenza era in uso un acronimo per indicare le ragazze thailandesi che lavoravano nei locali del vizio. LBFMPBR, Little Brown Fucking Machines Powered By Rice, piccole, scure macchine per il sesso alimentate a riso. Lo racconta Paul Adirex, narratore in lingua inglese pubblicato praticamente solo in Thailandia, autore di ottimi romanzi d’avventura reperibili solo nelle librerie del luogo. Non è molto lusinghiero come appellativo e, a me che di ragazze thai ne ho conosciute diverse apprezzandone tutti i risvolti- non solo quelli per cui vanno famose- suona vagamente offensivo. Di fatto era una definizione dei GI americani, razza come i giapponesi, sempre benvenuta a causa della valuta ma poco amata dalla popolazione. Ripeto, ho molti amici che hanno sposato ragazze thai, un collega della Kickboxing persino, e ho avuto modo di apprezzarne la dolcezza, la dedizione alla famiglia, l’affetto di cui sono capaci. Questo non toglie che Pattaya sia la città delle sessantamila prostitute,e che, se si vuole uscire dalla miseria per gli uomini c’è la boxe, la polizia, l’esercito o la malavita mentre per le donne resta solo la più antica professione del mondo. E non cancella nemmeno l’uso- soprattutto nelle famiglie del sud e del nord- di vendere le figli agli intermediari che riforniscono bordelli nelle città più sperdute dove le condizioni igieniche sono terrificanti. Molte delle ragazze che troverete a Bangkok, a Pattaya, a Pukhet a Phiphi island, però, vivono questa professione con uno spirito diverso. Ma pei rai… se le trattate con rispetto, riceverete solo dolcezza. Vabbè, forse un poco di maniera ma in gran parte autentica… Di passaggio a Bangkok vale sicuramente la pena di passare per Patpong, poche stradine che raccolgono la più alta concentrazione di go-go bar, discoteche, saloni per massaggi della città. Nel quartiere, che un tempo apparteneva a un solo uomo, Khun Patponpanit, vige una ferrea divisione. C’è addirittura un enorme cartello che lo delimita e la polizia turistica è sempre presente. Tra l’altro vi si trova una gigantesca farmacia (se volete … approfondire i servizi della zona il consiglio è di fornirvi in Europa di tutte le protezioni necessarie… chi ha orecchie per intendere…) e una fornitissima libreria. Di notte a Patpong s’accendono le bancarelle di un mercato delle pulci dove troverete ogni tipo di merce contraffatta dai DVD agli orologi, con decine di magliette e chincaglieria. Su questa strada si aprono locali con la facciata direttamente sul marciapiede. Qui potete entrare, bere la vostra Singha beer in compagnia di una ragazza, vedere uno spettacolo o persino la boxe in tutta sicurezza. Diffidate invece dei locali attraverso cui si entra per una porta stretta e vi vengono magnificati i soliti squallidi spettacoli di ragazze che con una parte anatomica che di solito serve ad altro uso fanno di tutto da sparare palline,a fumare sigarette. L’uscita potrebbe dimostrarsi “molto” più stretta se non pagate il conto salatissimo per consumazioni inesistenti. Scoprirete allora che esistono thailandesi nerboruti e insospettabilmente grossi oltre che aggressivi. Uscire senza fare a botte sarebbe difficile e voi siete sempre il farang, lo straniero.
    In Patpong 2 si concludono le cose serie. Se volete solo respirare l’ambiente peccaminoso, non è il posto per voi. Lo stesso dicasi per il soi (vicolo)3 e 4 che sono appannaggio dei Kathoy, i travestiti, che offrono in qualche cabaret spettacoli divertenti ma, quando si tratta di affari, prediligono rasoi e bocce piene d’acido. Meglio assaggiare il Mekong, una specie di whisky di riso, seduto in un bar all’aperto o alla discoteca Pink Panther, vicino all’hotel Meridien, poco distante. Magari trovate una fidanzata per la settimana ma vi terrete fuori dai rischi veri…
    Se poi qualcuno è attratto dal famoso “massaggio thai” potrà trovare decine di locali che offrono questo servizio e anche i grandi alberghi hanno la loro zona relax con personale pulito e abile. Ricordatevi che, di solito, i thailandesi non fanno molta differenza tra il massaggio thai tradizionale terapeutico (che dura circa un’ora ed è un’esperienza dolorosa ma vivificante, ahimé praticata nelle scuole classiche da vecchie signore) e quello… sexy. Nella tradizione locale in cui la donna è al servizio dell’uomo (usanza locale da millenni…non si discute) la massaggiatrice, v’insapona, vi lava, vi coccola come un bimbo, vi massaggia con perizia offrendo poi un servizio di carattere sessuale con la massima naturalezza. Se accettarlo o meno sta a voi ma sappiate che è considerato un completamento del trattamento rilassante. In ogni caso evitate i massage parlor piccoli e male pubblicizzati che sorgono un po’ dovunque. Ci sono locali come il Sen Star e il Monalisa che tutti i tassisti conoscono e che offrono a prezzi equi pulizia e professionalità. Non so quanto ci sia da fidarsi effettivamente di quei cartelli che le ragazze portano tutte al collo “AIDS- FREE”- immune all’AIDS- e sui controlli medici che dovrebbero essere regolari. Se non siete degli incoscienti proteggetevi sempre. Allo stesso modo non accettate mai una tirata d’oppio (non dico di eroina…) per provare l’emozione. Per la Thailandia transitano tonnellate di droga indisturbate, ma l’allocco farang è una delle vittime preferite di una truffa architettata da piccoli spacciatori e poliziotti. Un istante dopo aver concluso l’affare venite fermati, il vostro passaporto sequestrato. Se lo rivolete indietro sono, come minimo 2.500 euro… altrimenti dovete aspettare (per mesi…) di essere sentiti dal giudice nel carcere di Bangkwang, riservato agli stranieri che trafficano in droga. E qui tre grammi di eroina, per chiunque, possono valere la forca. Vedete voi…

    La Muay Thai

    I miei lettori lo sanno. Le discipline da combattimento sono una parte integrante non solo della mia vita ma anche dei miei interessi culturali e della mia attività di narratore. Le arti marziali sono espressione dell’epoca e della cultura di chi le pratica e tutta la mia attività né è stata massicciamente influenzata.
    Personalmente sono andato a studiare Muay Thai quando ero più giovane nei campi thailandesi ricavandone un’esperienza diretta. Non immaginatemi nelle vesti del Na Tsu Khao (il guerriero bianco) di Van Damme nel film Kickboxer. In Thailandia oggi si può andare in uno dei numerosissimi campi di addestramento di Bangkok o di Pukhet dove si pagano le lezioni quotidiane e al livello che si chiede. Ci sono pugili di ranking mondiale che vengono dall’Olanda e dalla Francia in particolare per prepararsi a combattere sui ring dei circuiti professionistici, ma molti, come me, possono scegliere una intensità e un insegnamento più dilettantesco. Basta pagare e farsi capire, la boxe Thai è un business peri thailandesi e come in ogni altro affare, il cliente soddisfatto è quello che torna… non quello con il naso rotto.
    Qualche cenno introduttivo sulla Muay Thai kickboxing che è un’evoluzione codificata negli anni ’30 delle forme di combattimento marziali locali armate e non armate. In tutta l’Indocina esistevano ed esistono ancora scuole tradizionali assimilabili (e spesso influenzate) dal Kung Fu cinese e da sistemi autoctoni. In Birmania esistono il Thiang e il Bando, in Thailandia la tradizione armata oggi sviluppata solo come forma di spettacolo era il Krabi Krabong che si esegue con lance e spade mentre c’è una versione a mani nude studiata per autodifesa nota come Muay Boran che recentemente è stata codificata e riproposta anche in Occidente come arte marziale non professionistica. La Muay Thay Kickboxing, invece, nasce come sport professionistico che si disputa sul ring con i guanti del pugilato inglese. A parte questo la tecnica permette di colpire con pugni, calci, ginocchia e gomiti per la durata dell’incontro che si svolge in 5 riprese da tre minuti ciascuna con due minuti di riposo. Se vi sembra poco andate semplicemente a vedere un incontro in uno dei due stadi principali di Bangkok il Lumphini e il Rajdamnern che, a giorni alterni durante la settimana, offrono combattimenti di alto livello. In Thailandia si combatte per soldi, con durezza, a volte sin da giovanissimi (personalmente ho visto terrificanti KO con gomitate in faccia tra ragazzini di dieci e undici anni. Sono contrario a questa forma di confronto che, a mio avviso, è l’equivalente della pornografia infantile.) Le condizioni mediche sui ring sono quantomeno preoccupanti (medici senza guanti che asciugano con lo stesso straccio il sangue dai visi dei due combattenti. In un paese con il 12% dei sieropositivi è abbastanza preoccupante) e spesso un pugile combatte tutte le settimane accumulando in pochi anni esperienze di più di 100 incontri. Dopo di che, se ancora sta in piedi, può diventare buttafuori o sicario in qualche gang. Ma anche questo è il business, perché, come per i combattimenti dei galli e i gogo-bar, si tratta di un affare redditizio, equamente ripartito tra esercito e polizia che si spartiscono ogni genere di traffico in Thailandia.
    Questo tipo di combattimento, con regole leggermente differenti, è diffuso in tutta l’indocina dalla Birmania (dove combattono a tre o quattro alla volta senza guanti) al Laos( la Lao Boxing) al Vietnam e alla Cambogia. In tutti questi paesi esistono forme più tradizionali di arte marziale di ispirazione cino-coreana.
    Della Muay Thai i Thailandesi vanno giustamente orgogliosi. Il loro circuito nazionale è più duro di quello mondiale che ha le sue basi soprattutto in Olanda e in Francia. Negli anni ‘70 un certo signor Noguchi, un giapponese maestro di quella forma di Karate con il contatto pieno nota come Kyokushin, venne a Bangkok e aprì un bar-ristorante dove era annesso un ring per i combattimenti. La cosa non piacque ai thailandesi che gli bruciarono il locale costringendolo a tornare in Giappone. Qui Noguchi, insieme al mitico campione Fujiwara fondò la Nippon Kickboxing che si differenziava dalla versione thai unicamente perché ammetteva solo per pochi secondi il clinch in cui i combattenti si avvinghiano scambiandosi ginocchiate. Oggi il circuito giapponese di Kickboxing è diventato il faro di questo tipo di combattimento grazie al K-1, un torneo che si disputa con le regole nipponiche e che è riservato solo ai pesi massimi dagli 85 kg in su e vede protagonisti olandesi, russi, neozelandesi e pochi giapponesi.
    Ma sul loro terreno(limitato per forza della natura alle categorie “basse”) i thailandesi sono ancorai più forti. E interpretano la disciplina secondo la loro tradizione, ossia accompagnando gli incontri con musica tradizionale, danze scaramantiche prima di ogni duello, rituali per scacciare i cattivi spiriti con amuleti e gesti (percorrere il ring in senso orario con la mano destra appoggiata alla corda superiore) che in altri paesi sono considerati superstizione. La mia è stata un’esperienza modesta, pochi giorni in un “camp” dove gli atleti seri vivevano come monaci e si allenavano otto ore al giorno. Per me un’ora a 40° era più che sufficiente. Ma ne ho tratto un’idea dell’ambiente e qualche amicizia. Per darvi un’idea basti un aneddoto. Nei campo, professionisti e amatori, si allenano duramente con il sacco e i colpitori ma non si combatte mai con il contatto. I professionisti salgono sul ring ogni settimana , non possono correre il rischio di farsi male davvero. I dilettanti, come me, se si fanno male, non pagano le lezioni cui sono costretti a rinunciare.
    Al termine della settimana di allenamento - il venerdì- uno è soddisfatto di sé, soprattutto per l’esperienza più che per la tecnica appresa. Allora arriva il Muay Kroo, il maestro, che ti propone di combattere. Se non sei proprio stupido ti rendi conto di non essere in grado di affrontare un vero duello. Ma sì, sei bravo, dice lui, e poi si tratta di combattere nel circuito del Friends’ bar, locali dove viene montato un ring di fortuna al centro della pista da ballo. Incoraggiato da allenatori e compagni, accetti. Viene il gran momento e sali tra le quattro corde… dove trovi una sorta di cadavere ambulante che si fa picchiare come un tamburo... Sei proclamato vincitore tra il giubilo della folla con tanto di cintura da campione. Le ragazze del bar ti portano in trionfo… e tutto quel che segue.
    Il giorno successivo è sabato e, pagato il conto delle lezioni, il maestro ti propone una cena dell’amicizia cui seguirà la visione di incontri veri in uno dei due stadi principali della città. Qui ritrovi lo stesso tipo che hai malmenato senza pietà la sera prima. È una iena e combatte con una ferocia inaudita, magari scopri che è campione nazionale. Sanuk, il maestro ride. E tu lo sai benissimo che il tuo exploit era tutta una finta, che ti hanno fatto vincere perché era compreso nel prezzo. Non ti devi offendere, se accetti il gioco sei nel “giro”… loro ti hanno fatto capire che quando il gioco si fa duro… i duri cominciano a giocare e il tuo ruolo è quello del simpatico farang con le tasche piene di baht…. Vi ho raccontato questo aneddoto per far capire quale sia la mentalità thailandese. Quando ci andai io, il campo migliore era il Sittyottong. Oggi sono passati molti anni e mi dicono che uno dei posti più accoglienti sia a Pattaya, la spiaggia di Bangkok. Si chiama Sitjapetch e le lezioni sono impartite da campioni del calibro di Nattphom Konnang ma potrete trovarvi veri fuoriclasse francesi come Totof e Stephàne Nikiema. Al contrario di altri campi non fornisce alloggio e nei suoi 80 metri quadrati accoglie ogni giorno circa 70 allievi. Di tutta l’amministrazione si occupano madre e figlia Vanicha e Rattana che vi troveranno un comodo alloggio alla spiaggia di Jomden a poche centinaia di metri. Una giornata di allenamento costa circa 200 bath(4,50 euro!!!).Se avete ancora l’età per questi sforzi - perché comunque è un sacrificio fisico…- vi consiglio di tentare l’esperienza. Sarà un assaggio della Bangkok… da duri che i circuiti turistici non comprendono.
     
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    Nessuno è mai fuggito da un cimitero-Non c'è discesa dal golgota

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    Bello...molto bello,sempre valido il nostro Stefano...prova sempre le sue location...immagino con quanta cura ...
     
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  3. il professionista
     
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    e noi sappiamo di cosa stiamo parlando.
    E questo è uno stimolo per sempre nuove localtion.
    come dice paris Hilton.meglio cambiare,no? :rolleyes:
     
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    Attendo una avventura del Professionista,e di Gunn nella Praga odierna,di cui si narrano cose incredibili...
     
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  5. il professionista
     
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    in la vendetta del Marsigliese, unSegretissimo di un paio d'anni fa, c'era una bella sequenza ambientata al carioca cabaretdi Piazza Vanceslao ricostruito realisticamente...
     
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    Letto,appena uscito...ma in quel periodo ti conoscevo solo per Il Cavaliere del vento e Quarto reich,e non avevo ancora avuto modo di apprezzare e conoscere Chance a fondo...lo rileggerò
     
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  7. altros
     
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    Salve ragazzi, come va? :Chitarra.gif:
     
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  8. il professionista
     
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    diciamo da lunedì mattina.... e tu?

    CITAZIONE (CASVAL SOM DAIKUN @ 12/3/2007, 09:13)
    Letto,appena uscito...ma in quel periodo ti conoscevo solo per Il Cavaliere del vento e Quarto reich,e non avevo ancora avuto modo di apprezzare e conoscere Chance a fondo...lo rileggerò

    prga c'era coni suoi locali anche in Ora Zero ma mi hanno cassato un pezzo. Di sicuro la città merita, in ogni senso, un approfondimento.
    Sono un paio d'anni che non vado. Grande vacanza... e fonte d'ispirazione. :gunman:
     
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    Spero di riuscire a coniugare l'utile al dilettevole:2gg a Brno per girare in pista col cbr e poi serata conclusiva a Praga..ma anche a brno bynight
     
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  10. altros
     
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    E' durissima, sono le 10,30 ed ancora non ho iniziato il lavoro.

    Ho letto su Orient Express il racconto con Bruno Spada, hai pensato ad un sequel di Quarto Reich?
    L'ambientazione della storia agli inzizi del xx secolo è a mio avviso particolarmente affascinante.
    Una miscela di moderno ed antico.
    Cosa ne pensi? :bond.gif: :bond.gif:
     
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  11. il professionista
     
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    sdì in effetti era stato pensato come un raccontoinserito in quell'epoca.Si svolge però prima di Quarto reich. Chissà mai che il personaggio ritorni.
     
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  12. altros
     
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    Quarto Reich è un romanzo bellissimo.

    Un romanzo di avventura vero, di quelli che si trovano oramai sempre più raramente negli scaffali delle librerie.

    Gli immensi scenari africani si alternano a quelli delle dolci colline italiane.


    Il dramma della seconda guerra mondiale, la vita di un uomo alla ricerca di se stessi e di un tesoro si intreccia con un complotto nazista.

    Una bellissima strega, un viaggio nelle tenebre su di un fiume immenso.

    Un popolo di guerrieri che difende le proprie terre.

    Un finale a sorpresa.

    Straordinario!


    Sarebbe bello poter leggere un seguito.

     
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  13. il professionista
     
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    sarebbe bello poterlo scrivere....
     
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  14. altros
     
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    Allora fallo.

    Per te e per noi lettori.
     
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  15. il professionista
     
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    la realtà non è così semplice. Come per i film ci vuole un produttore cioè un editore che ti pubblichi.
    per il momento cerchiamo di far andare in porto le navi che ancora veleggiano abbastanza lontano dalla costa... :gunman:
     
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37 replies since 11/3/2007, 10:18   923 views
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